"writing about music is like dancing about architecture"

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A blog by The Hypnotoad

venerdì 22 maggio 2015

High Fidelity: Dream Theater

Anche #Metropolis, la retrospettiva sui Dream Theater, è finita. Anche stavolta, vi propongo un bignamino per orientarvi tra i dischi della band se volete approfondirla, litigare con me se li conoscete e non siete d’accordo, o incensarmi e sacrificarmi il vitello grasso se li conoscete e siete d’accordo.


5. Six Degrees of Inner Turbulence, 2002
Cominciamo con uno dei dischi più equilibrati e pesanti allo stesso tempo. Six Degrees of Inner Turbulence contiene:
- una suite strafiga (“Six Degrees of Inner Turbulence”, divisa in 8 parti, che occupa tutto il secondo disco);
- uno dei pezzi più pesanti della band (“The Glass Prison”, l’inizio della “Twelve-step Suite” di Mike Portnoy);
- ben due pezzi non riempitivi con splendidi testi di James LaBrie (“Blind Faith” e “Disappear”).
In pratica, un piccolo compendio della storia dei Dream Theater, uno dei dischi più incazzati e creativi.



4. Awake, 1994
Quando è uscito, Awake sembrava il fratello brutto (molto brutto) di Images and Words: è molto più cupo e incazzato, la componente metal domina sul sognante prog, e i testi sembrano avere un malessere di fondo (giustificato, a posteriori: Kevin Moore lascia la band appena finito il disco). Inoltre, all’epoca andava di moda il grunge, e le intricate sfuriate dei Dream Theater resero il disco un insuccesso. È stato rivalutato, ultimamente, e io aggiungo giustamente: proprio quello che all’epoca lo aveva ridimensionato è il suo punto di forza. Un’opera mastodontica.



3. Metropolis, Pt. 2: Scenes from a Memory, 1999
La storia del seguito del brano “Metropolis, Pt.1: The Miracle and the Sleeper” da Images and Words è piuttosto interessante: all’inizio la dicitura “Pt. 1: The Miracle and the Sleeper” era una specie di scherzo, una presa in giro dei seriosi progster che sembravano dover scrivere solo complesse suite. Poi, però, durante la registrazione di Falling into Infinity, nuove idee per un seguito iniziarono a prendere forma, e questa forma divenne troppo grande per essere inclusa sull’album, quindi diventò un album a se stante. Ovvero Scenes from a Memory. Il primo album con Jordan Rudess, una raccolta di idee geniali e brillanti intuizioni.



2. Train of Thought, 2003
Qui c’è probabilmente la prima sorpresa: Train of Thought è un disco molto cattivo, e generalmente non è considerato granchè dai fan. Io penso, però, che sia un vero capolavoro, e in esso la creatività della band (purtroppo agli sgoccioli: probabilmente è l’ultimo capolavoro della band) si mescola meravigliosamente con una pesantezza lugubre a creare una badilata sui denti veramente devastante.



1. Images and Words, 1992

Dopo l’esordio non eccellente di When Dream and Day Unite, accolto James LaBrie sul carrozzone, I giovani John Petrucci, John Myung, Mike Portnoy e Kevin Moore pubblicano l’album considerato uno dei capolavori assoluti del progressive metal, e forse addirittura il capostipite. Sul disco, la band brilla come un nuovo sole per la buia notte in cui il prog era precipitato negli anni ’80, e da vita a una rinascita che continua a tutt’oggi, con la corrente del prog metal e del post-prog. Probabilmente i Dream Theater non hanno mantenuto solido il loro lavoro come altre band nel corso della carriera, e c’è stato più di uno scivolone. Ma se non ci fossero stati loro, probabilmente non avremmo avuto un sacco di altre cose belle.


venerdì 15 maggio 2015

Help the Poor

Quando ero piccolo, di musica non capivo un cazzo ("perchè, adesso ne capisci qualcosa?" direte voi). A un certo punto, però, dopo aver scoperto il rock n'roll nella forma di "It's Alive" dei Ramones, iniziai ad essere curioso e cominciai a cercare se in casa ci fosse qualcosa che valeva la pena ascoltare.
Trovai, tra i pochi cd di mio papà (cioè, quelli non "di tutti" o di mia mamma), Riding with the King di B.B. King ed Eric Clapton. 
Penso che se fosse stato un vinile l'avrei consumato, da tanto l'ho ascoltato. E fu così che scoprii il blues.

Grazie, B.B.


giovedì 14 maggio 2015

High Fidelity: Opeth

Si è conclusa #Deliverance, la retrospettiva sugli svedesi Opeth di Bufo Hypnoticus: come ormai tradizione, il corollario è una classifica ad alta fedeltà per la band! Ecco quindi i 5 dischi fondamentali per conoscere la band e imparare ad essere brutti, sporchi e cattivi come loro!

5. Morningrise, 1996
Al quinto posto troviamo il secondo album della band: è la testimonianza migliore dell'inizio degli Opeth: probabilmente i puristi penseranno che la testimonianza migliore dell'inizio sia l'inizio stesso, ovvero Orchid, del 1995, ma trovo che in Morningrise la potenzialità futura degli Opeth sia più chiara per tutti. Sull'album si va oltre il black metal sporco e malvagio del primo disco, con trame sonore degne del miglior prog a cui Akerfeldt non ha mai negato di ispirarsi, atmosfere malinconiche ma comunque ancora tanta cattiveria.



4. Deliverance e Damnation, 2002 e 2003
Per il quarto posto ho scelto la coppia di gemelli registrati dagli Opeth nel 2002 e pubblicati a pochi mesi di distanza l'uno dall'altro, non tanto per volontà della band quanto per indicazione della casa discografica, poco disposta a rischiare la pubblicazione di un doppio album, men che meno con due metà così diverse tra loro: tanto oscuro e cattivo Deliverance quanto dolce e malinconico Damnation: entrambi sono stati registrati e prodotti assieme a Steven Wilson, e per quanto l'ispirazione che ha portato si senta, è chiaro che la farina è tutta del sacco del solito Akerfeldt.





3. Watershed, 2008
Più ci si avvicina alla cima e più diventa difficile scegliere: ma Watershed è decisamente un traguardo per la band, decisamente uno spartiacque come quello evocato nel titolo. Per ora resta l'ultimo disco "metal" della band, e contiene alcune delle cose più spettrali ed evocative di tutta la loro carriera, pesanti o meno. Inoltre, è il primo disco registrato con Martin Axenrot ai tamburi, e Axenrot è un batterista decisamente più interessante di Lopez; è anche il primo senza Peter Lindgren, che viene sostituito da Frederik Akesson, causando un putiferio tra i fan ma assicurando tessuti chitarristici decisamente più ispirati.




2. Pale Communion, 2014



1. Blackwater Park, 2001
Blackwater Park è il capolavoro riconosciuto degli Opeth, il disco che li ha consacrati al successo internazionale, nonchè il loro disco più bello (anche se i veri metallari hurr durr diranno che siccome c'è STIBBENUILZON non è un bel disco). In Blackwater Park si coglie appieno l'atmosfera glaciale che caratterizza da sempre gli Opeth, distillata e cristallina come non mai. Nel frattempo della formazione di Blackwater Park sono rimasti solo il leader Akerfeldt e il bassista Martin Mendez: chissà quali mirabolanti prodezze produrranno i Nostri in futuro...