Finita
la retrospettiva #Faithfull, su Bufo Hypnoticus, eccoci con una pratica guida
ai Pearl Jam.
Devo
specificare una cosa, però: questa classifica ad alta fedeltà qui è la più
difficile che io abbia fatto finora. Volendo, ho anche dato un po’ retta alle
emozioni, quindi forse è la mia classifica più soggettiva. Ma soprattutto, è
stato davvero difficile scegliere i 5 lavori più rappresentativi della band di
Seattle. Alla fine, sono comunque soddisfatto del risultato (altrimenti non lo
stareste leggendo).
Pronti,
partenza, via!
5.
Pearl Jam, 2006
Come
prima scelta, un disco che contiene alcuni dei pezzi migliori dei Pearl Jam, il
disco del ritorno alla forma di Mike McCready e del ritorno ai pezzi
spaccaossa. “Life Wasted”, “World Wide Suicide”, “Come Back” e “Inside Job”
(quest’ultima tutta di Mike) sono memorabili, e dal vivo sono anche meglio.
4. Riot Act, 2002
Questo
è un disco che ho scoperto in tempi recenti, dopo aver ascoltato per caso “Save
You”: il disco tiene perfettamente fede al titolo, anche se non necessariamente
per quanto riguarda le sonorità: è, sì, un atto di ribellione, ma tenero.
Sono
pezzi come “I Am Mine” di Vedder, “Bu$hleaguer” e la conclusiva “All or None” di
Gossard e Vedder, che rendono i Pearl Jam grandi come sono.
3. Ten, 1991
Inevitabile
la presenza in classifica del devastante debutto della band di Seattle: Ten è
uno dei tre dischi fondamentali del grunge (gli altri due sono Nevermind dei
Nirvana e Superunknown dei Soundgarden), e ancora adesso resta il disco più
amato dai fan della band di Seattle. Immancabile per comprenderli ed amarli.
2. Yield, 1998
“Come?
Dopo tutto quel pippone, Ten non è al primo posto?”
No. Perché
Yield è un disco più interessante: ci sono mood diversi, è cambiato il
batterista, ma soprattutto i vari componenti della band hanno più spazio per
esprimersi. La band è maturata molto nei 7 anni che separano il debutto da
questa splendida gemma che sembra quasi un tranquillo disco folk rock, ma non
temete, i ragazzi non hanno certo perso il mordente.
1.
Vitalogy, 1994
Eccolo
qua.
Le
mattonate in faccia (“Spin the Black Circle”, “Whipping”), la carezza prima di
andare a dormire (“Nothingman”), la canzone da cantare tutti insieme allo stadio
(“Better Man”), il delirante siparietto (“Bugs”) e il viaggio allucinogeno (“Hey,
Foxymophandlemama, That’s Me”, con Jackie I. già alla batteria): c’è tutto
questo e molto altro, nel terzo album dei Pearl Jam.