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A blog by The Hypnotoad

sabato 9 agosto 2014

PUNK #2: "Seasons of Man"

E va bene, lo ammetto: uno dei motivi per cui ci ho messo così tanto a finire il secondo episodio di PUNK è che ho iniziato a scrivere 134 invettive contro le cazzate delle persone sull’internet e non ne ho pubblicata nessuna, in compenso mi ci sono avvelenato il fegato. Da oggi, ogni volta che mi verrà da oppormi all’idiozia umana scriverò un pezzo della prossima puntata di PUNK.
Quindi così.

La musica progressive ha una storia lunga e complessa che per certi versi non si è ancora conclusa. È certamente difficile fare delle classifiche del “miglior progressive”, da qualunque punto di vista (importanza storica, tecnica, successo) le si voglia fare.
Io però me ne frego, e ho stabilito che esiste un momento più elevato di qualsiasi altro componimento di musica progressive.
Esso è il crescendo finale di “Close to the Edge” degli Yes (gli Yes quelli veri: Jon Anderson, Bill Bruford, Steve Howe, Chris Squire e Rick Wakeman, non la patetica auto-cover band attualmente in tour).
Close to the Edge è un disco semplicemente epico e immenso, ritenuto quasi all’unanimità uno dei massimi momenti della storia della musica progressive: contiene solo tre pezzi, ovvero la suite eponima, la mini-suite acustica “And You And I” e la bordata (bordata nel senso di colpo di cannone, non nel senso di “coi bordi”, sciocchini) “Siberian Khatru”, tutti e tre egualmente immaginifici. Ma la suite eponima che apre il disco è qualcosa di davvero speciale. Nel corso delle prime tre parti della suite, la canzone viaggia in modo assolutamente fluido verso la quarta parte, “Seasons of Man”, ove si trova appunto il meraviglioso crescendo finale.
Non è facile spiegare perché il crescendo di “Seasons of Man” sia così bello, e probabilmente come tutte le cose la sua bellezza è soggettiva. C’è però un qualcosa di superiore, di divino, in quella manciata di secondi. Non penso sia facile da capire senza averlo mai ascoltato, quindi il miglior consiglio che posso darvi è di ascoltarvelo, immagino.
Forse, però, potrei usare delle metafore per descrivere il crescendo: è un po’ la sensazione che si prova quando ci si masturba dopo una pesantissima giornata di lavoro e si eiaculano tutte le preoccupazioni, le ansie e la fatica in un fazzoletto di carta (o dovunque siate soliti farlo; ah, a proposito, ragazze, scusate, ma la versione maschile rende molto meglio l’idea), o quando dopo giorni di pioggia torna il Sole (avete notato come ho cambiato il registro della conversazione?), o anche quando, dopo mesi di tira e molla, finalmente riuscite a limonare durissimo la tipa dei vostri sogni. “Seasons of Man” ha quasi un potere taumaturgico, perché dandovi esattamente queste sensazioni, vi dona il sollievo, la gioia che esse suscitano in tutti quelli di noi che ancora provano dei sentimenti e non sono in grado di tollerare merda come i Dear Jack per più di 28 secondi.
Gli Yes non hanno avuto una carriera uniforme, e hanno fatto una discreta quantità di cose serenamente evitabili o quantomeno poco interessanti, e anche solo il disco successivo a “Close to the Edge”, ovvero “Tales from Topographic Oceans” (che poi dai, chi cazzo mette la parola “topographic” nel titolo di un disco? E soprattutto che cazzo vuol dire “Oceani Topografici”?), è una discreta pizza, e comunque non essendoci Bill Bruford è inferiore per definizione. Certo, hanno fatto “Owner of a Lonely Heart”, splendida nel suo essere una semplicissima ed efficacissima canzonetta pop, hanno fatto “Drama”, ma poi basta, e adesso stanno facendo dei dischi che sembrano gridare “GUARDATE, SIAMO VECCHI MA FACCIAMO ANCORA COSE FIGHE COME QUARANT’ANNI FA”, il che non è falso: peccato che le cose fighe le facciano esattamente come quarant’anni fa, ovvero autocitandosi e autoplagiandosi fino alla morte. Del giro del prog, gli unici due gruppi che sono riusciti a sopravvivere a se’ stessi innovandosi ed aggiornandosi sono stati i King Crimson e i Rush, entrambi a modo loro, certo, ma gli unici a mantenere costanti la qualità e la novità. Gli Yes invece no.
Ma né i King Crimson né i Rush hanno scritto “Seasons of Man”.




[Nella prossima puntata: non lo so ancora!]

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